Siamo alla corte di Ludovico Sforza e, come ogni Natale, sta per essere servito in tavola, per il signore di Milano e per i suoi magnifici ospiti, un sontuoso banchetto. Il famoso cuoco (la leggenda purtroppo non ce ne tramanda il nome) al servizio di Ludovico, stava facendo in modo che tutto andasse per il verso giusto, dirigendo i suoi numerosi sottoposti, sia ai fornelli che al servizio in tavola. I piatti si susseguivano uno dopo l'altro, con le giuste pause tra le portate, per accompagnare le papille gustative degli ospiti verso il meraviglioso dolce che doveva chiudere una cena così importante. Il cuoco aveva provveduto di persona a curare l'impasto di questo importante dolce, la cui ricetta segreta si tramandava di padre in figlio all'interno della sua famiglia da secoli. Il signore di Milano sarebbe rimasto a bocca aperta davanti a questa meraviglia del palato.
Le portate passavano e le cucine risuonavano di urla agitate che coprivano l'acciottolio dei piatti e il tramestio delle pentole; tutti avevano qualcosa da fare e forse, proprio per questo, qualcuno scordò di togliere il dolce dal forno. Verso le ultime portate, il cuoco si accorse che mancava il dolce, ma in forno trovò solo un ammasso bruciacchiato e immangiabile. Le urla e le bestemmie arrivarono fino ai tavoli degli invitati. Era ormai troppo tardi per preparare nuovamente un impasto così elaborato; poco importava chi aveva dimenticato il dolce nel forno, tanto Ludovico se la sarebbe presa con lui e lo avrebbe condannato a morte. Disperato il cuoco si abbandonò su una sedia e cominciò a piangere sommessamente.
Toni, un povero sguattero, gli si avvicinò dicendo che aveva tenuto per sé un po' dell'impasto del dolce perduto a cui si era permesso di aggiungere un po' di frutta candita, uova, zucchero e uvetta. Voleva farselo cuocere al termine del lavoro per avere qualcosa da mangiare. Se il cuoco voleva poteva portare quel dolce a tavola. Guidato dalla forza della disperazione il cuoco infilò nel forno quella specie di forma di pane. Nonostante il povero aspetto, non avendo più nulla da perdere, il cuoco fece portare il dolce in tavola. Neanche a dirlo, il pan del Toni riscosse un successo strepitoso, tanto che il cuoco fu obbligato a servirlo a tutti i banchetti natalizi degli anni successivi e presto l'usanza si diffuse fra tutta la popolazione.
Le portate passavano e le cucine risuonavano di urla agitate che coprivano l'acciottolio dei piatti e il tramestio delle pentole; tutti avevano qualcosa da fare e forse, proprio per questo, qualcuno scordò di togliere il dolce dal forno. Verso le ultime portate, il cuoco si accorse che mancava il dolce, ma in forno trovò solo un ammasso bruciacchiato e immangiabile. Le urla e le bestemmie arrivarono fino ai tavoli degli invitati. Era ormai troppo tardi per preparare nuovamente un impasto così elaborato; poco importava chi aveva dimenticato il dolce nel forno, tanto Ludovico se la sarebbe presa con lui e lo avrebbe condannato a morte. Disperato il cuoco si abbandonò su una sedia e cominciò a piangere sommessamente.
Toni, un povero sguattero, gli si avvicinò dicendo che aveva tenuto per sé un po' dell'impasto del dolce perduto a cui si era permesso di aggiungere un po' di frutta candita, uova, zucchero e uvetta. Voleva farselo cuocere al termine del lavoro per avere qualcosa da mangiare. Se il cuoco voleva poteva portare quel dolce a tavola. Guidato dalla forza della disperazione il cuoco infilò nel forno quella specie di forma di pane. Nonostante il povero aspetto, non avendo più nulla da perdere, il cuoco fece portare il dolce in tavola. Neanche a dirlo, il pan del Toni riscosse un successo strepitoso, tanto che il cuoco fu obbligato a servirlo a tutti i banchetti natalizi degli anni successivi e presto l'usanza si diffuse fra tutta la popolazione.
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