Canzone tabelline

lunedì 30 novembre 2009

Calendario dell'avvento

Salva le immagini nel tuo computer e poi stampale.



Costruisci il tuo calendario dell'avvento.

Materiale:
  1. Un foglio da disegno A4,
  2. colla e forbici.

Come costruirlo:
  1. stampa le finestrelle,
  2. ritaglia le finestelle in modo che si possano aprire,
  3. scegli quali immagini vuoi applicare sotto le finestelle ( sono disponibili due versioni),
  4. ritaglia le immagini dopo che le hai stampate,
  5. incolla le immagini su un foglio di carta A4; attento devono andare in linea con le 25 finestrelle,
  6. dopo che le hai incollate tutte incolla nei bordi il foglio con le finestrelle sopra il foglio con le immagini.
Buon lavoro.

L' Avvento



CHE COSA E'
L'avvento, e cioè l'Arrivo, è il periodo di quattro settimane che precede il Natale. Fa parte delle festività del ciclo natalizio ed è un periodo di preparazione al Natale.
I popoli di religione cristiana che celebrano la nascita di Cristo si preparano al Natale durante l'Avvento con il digiuno e la preghiera.

LE ORIGINI
Questa festa di preparazione ricalca una festa pagana. Ha le sue origini storiche nell'Adventus, detto parusia, che significava la presenza annuale della divinità, oppure anche l'anniversario della visita dell'imperatore, e di qui trae origine il tema del "Cristo che viene".

LA CORONA DELL'AVVENTO
Per segnare l'avvicinarsi del giorno in cui si ricorda la nascita di Cristo, il 25 dicembre, le comunità cristiane del Nord Europa utilizzano la corona dell'Avvento.
Nei Paesi di lingua tedesca il simbolo dell'Avvento è una corona, chiamata "Adventskranz".
Sono rami di pino decorati con 4 candele, che indicano le domeniche che mancano fino a Natale. Secondo la tradizione, la sera delle quattro domeniche che precedono il Natale, si accende una candela.

IL CALENDARIO DELL'AVVENTO
Il calendario dell'Avvento è una tradizione dei Paesi del Nord Europa, che si sta diffondendo anche in Italia. Anche i bambini sono coinvolti in questa attesta proprio attraverso il calendario dell'Avvento.
Un calendario dell'Avvento semplice può essere un foglio dove è illustrata la Natività. Per i bambini questo rappresenta un goloso conto alla rovescia, iniziando di solito dal primo dicembre fino a Natale. Nel foglio sono nascoste 24 caselle, una per ogni giorno che separa dal Natale. Ad ogni giorno del calendario corrisponde qualcosa come un dolcetto, un cioccolatino o un biscottino. I bambini aprono la casella del giorno e scoprono così riflessioni dolci e proponimenti.

Il primo calendario dell'avvento fu stampato a Monaco di Baviera nel 1908, il suo ideatore fu Gerhard Lang il quale decise di continuare l'idea di sua mamma che di anno in anno preparava per Natale calendari colorati per tutti i suoi figli in quanto la famiglia era molto numerosa e povera. Negli anni '20 il calendario si arricchì di piccole tavolette di cioccolato inserite sotto le finestrelle numerate da 1 a 24.

LA STORIA DEGLI ANGELI DELL'AVVENTO


Gli angeli dell'Avvento sono quattro, proprio come le quattro settimane che preparano al Natale. Vengono in visita sulla Terra, indossando abiti di un colore diverso, ciascuno dei quali rappresenta una particolare qualità.

L'angelo blu. Durante la prima settimana un grande angelo discende dal cielo per invitare gli uomini a prepararsi per il Natale. E' vestito con un grande mantello blu, intessuto di silenzio e di pace.
Il blu del suo mantello rappresenta appunto il silenzio e il raccoglimento.

L'angelo rosso. Durante la seconda settimana un angelo con il mantello rosso scende dal cielo, portando con la mano sinistra un cesto vuoto. Il cesto è intessuto di raggi di sole e può contenere soltanto ciò che è leggero e delicato. L'angelo rosso passa su tutte le case e cerca, guarda nel cuore di tutti gli uomini, per vedere se trova un po' di amore…
Se lo trova, lo prende e lo mette nel cesto e lo porta in alto, in cielo. E lassù, le anime di tutti quelli che sono sepolti in Terra e tutti gli angeli prendono questo amore e ne fanno luce per le stelle.
Il rosso del suo mantello rappresenta l'amore.

L'angelo bianco. Nella terza settimana un angelo bianco e luminoso discende sulla terra. Tiene nella mano destra un raggio di sole. Va verso gli uomini che conservano in cuore l'amore e li tocca con il suo raggio di luce. Essi si sentono felici perché nell'Inverno freddo e buio, sono rischiarati ed illuminati. Il sole brilla nei loro occhi, avvolge le loro mani, i loro piedi e tutto il corpo. Anche i più poveri e gli umili sono così trasformati ed assomigliano agli angeli, perché hanno l'amore nel cuore. Soltanto coloro che hanno l'amore nel cuore possono vedere l'angelo bianco…
Il bianco rappresenta il simbolo della luce e brilla nel cuore di chi crede.

L'angelo viola. Nella quarta e ultima settimana di Avvento, appare in cielo un angelo con il mantello viola. L'angelo viola passa su tutta la Terra tenendo con il braccio sinistro una cetra d'oro. Manca poco all'arrivo del Signore.
Il colore viola è formato dall'unione del blu e del rosso, quindi il suo mantello rappresenta l'amore vero, quello profondo, che nasce quando si sta in silenzio e si ascolta la voce del Signore dentro di noi.

Disegni natalizi

Buon divertimento








Ringraziamento


Un ringraziamento particolare a maestra Laura che segue il nostro Blog.
Grazie mille di essere una nostra lettrice e sostenitrice.
Maestra Gloria e gli alunni della classe 5.

Tegoline natalizie










Materiale per la creazione:
  1. tegoline in gesso,
  2. disegni e immagini per decupage,
  3. colori acrilici,
  4. stucco,
  5. granellini di sabbia colorati,
  6. polvere brillantata,
  7. nastrini in raso.
Con un semplice lavoro si ottiene uno splendido regalo. Che ne dite?

Ora manca da creare un magnifico bigliettino d'auguri accompagnato da una soave poesia, scritta da voi bambini!

sabato 28 novembre 2009

Sant'Andrea Apostolo - Patrono di Tortolì


Tra gli apostoli è il primo che incontriamo nei Vangeli: il pescatore Andrea, nato a Bethsaida di Galilea, fratello di Simon Pietro. Il Vangelo di Giovanni (cap. 1) ce lo mostra con un amico mentre segue la predicazione del Battista; il quale, vedendo passare Gesù da lui battezzato il giorno prima, esclama: "Ecco l’agnello di Dio!". Parole che immediatamente spingono Andrea e il suo amico verso Gesù: lo raggiungono, gli parlano e Andrea corre poi a informare il fratello: "Abbiamo trovato il Messia!". Poco dopo, ecco pure Simone davanti a Gesù; il quale "fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa”". Questa è la presentazione. Poi viene la chiamata. I due fratelli sono tornati al loro lavoro di pescatori sul “mare di Galilea”: ma lasciano tutto di colpo quando arriva Gesù e dice: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini" (Matteo 4,18-20).
Troviamo poi Andrea nel gruppetto – con Pietro, Giacomo e Giovanni – che sul monte degli Ulivi, “in disparte”, interroga Gesù sui segni degli ultimi tempi: e la risposta è nota come il “discorso escatologico” del Signore, che insegna come ci si deve preparare alla venuta del Figlio dell’Uomo "con grande potenza e gloria" (Marco 13). Infine, il nome di Andrea compare nel primo capitolo degli Atti con quelli degli altri apostoli diretti a Gerusalemme dopo l’Ascensione.
E poi la Scrittura non dice altro di lui, mentre ne parlano alcuni testi apocrifi, ossia non canonici. Uno di questi, del II secolo, pubblicato nel 1740 da L.A. Muratori, afferma che Andrea ha incoraggiato Giovanni a scrivere il suo Vangelo. E un testo copto contiene questa benedizione di Gesù ad Andrea: "Tu sarai una colonna di luce nel mio regno, in Gerusalemme, la mia città prediletta. Amen". Lo storico Eusebio di Cesarea (ca. 265-340) scrive che Andrea predica il Vangelo in Asia Minore e nella Russia meridionale. Poi, passato in Grecia, guida i cristiani di Patrasso. E qui subisce il martirio per crocifissione: appeso con funi a testa in giù, secondo una tradizione, a una croce in forma di X; quella detta poi “croce di Sant’Andrea”. Questo accade intorno all’anno 60, un 30 novembre.
Nel 357 i suoi resti vengono portati a Costantinopoli; ma il capo, tranne un frammento, resta a Patrasso. Nel 1206, durante l’occupazione di Costantinopoli (quarta crociata) il legato pontificio cardinale Capuano, di Amalfi, trasferisce quelle reliquie in Italia. E nel 1208 gli amalfitani le accolgono solennemente nella cripta del loro Duomo. Quando nel 1460 i Turchi invadono la Grecia, il capo dell’Apostolo viene portato da Patrasso a Roma, dove sarà custodito in San Pietro per cinque secoli. Ossia fino a quando il papa Paolo VI, nel 1964, farà restituire la reliquia alla Chiesa di Patrasso.

Chiesa Sant'Andrea Tortoli


Lunedì 30 Novembre a Tortoli si festeggia il patrono del paese : Sant'Andrea. Non potete mancare alla festa religiosa e civile.



Nel centro del paese si trova la chiesa di Sant'Andrea, ex Cattedrale, edificata all'inizio del Seicento. Attualmente la chiesa presenta uno stile baroccheggiante, frutto di una ristrutturazione operata nel Settecento, la facciata è caratterizzata dal timpano depresso al centro e da un alto campanile. Nell'interno a tre navate, si possono vedere molte opere d'arte, statue e pitture, e un grande altare sopraelevato in marmo.

La battaglia di Maratona



Gli eserciti si fronteggiarono accampati rinviando lo scontro per tre lunghe giornate, non successe in sostanza nulla. Questo probabilmente conferma un relativo equilibrio di effettivi sul campo e il piano di trattenere Milziade a Maratona mentre Artaferne, con la flotta, compiva un movimento aggirante verso Atene. Quando però giunse notizia di un esercito spartano già in marcia verso l’Attica, Dati decise di dare battaglia. Milziade, dal canto suo, decise di assumere l’iniziativa tattica e fece schierare la falange in linea di combattimento rinforzando però le due ali a discapito delle linee centrali che furono così ridotte a poche file, temeva, infatti, una manovra aggirante dei cavalieri persiani essendo lui sprovvisto di cavalleria, e attaccò decisamente lo schieramento nemico.

Erodoto riferisce che gli opliti condussero l’attacco di corsa per otto stadi (circa 1.400 metri), ma la «tattica della corsa» va interpretata con discrezione. Infatti, data la pesantezza dell’equipaggiamento oplitico, non si capisce come gli Ateniesi, dopo un simile sforzo, avessero ancora la forza per combattere. È quindi più realistico pensare che i due schieramenti si siano mossi l’uno contro l’altro e che gli Ateniesi abbiano completato il movimento con una breve carica.

Lo scontro fu comunque molto violento e i Persiani ne subirono le conseguenze, non essendo abituati alla lotta ravvicinata e dato che la loro tattica abituale consisteva principalmente nel lancio di frecce e giavellotti, poco efficace contro la pesante armatura degli opliti. Infatti, mentre il centro ateniese, essendo meno numeroso, cedeva lentamente agli avversari ma senza rompere le file, le ali adeguatamente rinforzate bloccavano le manovre della cavalleria nemica, e una volta sfondato lo schieramento persiano, iniziarono a chiudere sul grosso del nemico. A questo punto, sentendosi circondati e vicini alla disfatta, i Persiani ruppero lo schieramento e si dettero alla fuga verso le navi.

Fu in quel momento, come spesso accadeva nelle battaglie dell’antichità, che lo scontro si trasformò in un massacro. I Greci si gettarono sui Persiani in fuga facendone strage, solo pochi riuscirono a prendere il mare verso la salvezza. Secondo gli Ateniesi 6.400 morti persiani furono raccolti sul campo, la cifra forse è un po’ esagerata ma probabilmente non molto lontana dal vero, visto l’evolversi della battaglia. Dal canto loro, gli Ateniesi contarono solo 192 morti, tra questi anche il polemarca Callimaco. Anche questa cifra può sembrare poco credibile ma poiché il grosso delle uccisioni avvenne dopo la rottura dello schieramento e durante la fuga dei Persiani, può considerarsi realistica.


Quel che conta è che, per la prima volta, un’armata greca aveva sconfitto un esercito persiano in campo aperto. La vittoria era totale e la leggenda dice che Fidippide, oplita e messaggero, fu spedito ad Atene per annunciare la vittoria e dopo aver corso fino ad Atene cadde morto dopo il suo annuncio.

L'antica Grecia


Le Guerre Persiane

Tra l’VIII e il VII sec. a.C. molte città greche avevano fondato le loro colonie in Asia Minore, l’attuale Turchia. Tra queste ricordiamo Bisanzio, Mileto, Sardi e tante altre.

Verso la fine del VI sec. a.C. , però, l’Asia Minore fu assorbita dall’ Impero Persiano.

Nel 499 a.C. Mileto si ribellò, aiutata da Atene, a Dario il re di Persia.

Dario non poté tollerare l’offesa subita: conquistò e distrusse Mileto e decise di punire anche la città che aveva aiutato i ribelli, così dichiarò guerra ad Atene . Scoppiò cosi la Prima Guerra persiana.

Dario nel 490 a.C. radunò un grande esercito e una potente flotta con destinazione Atene.

Nel frattempo Sparta e Atene si allearono e affrontarono i Persiani a Maratona (a una quarantina di chilometri da Atene): 10000 soldati greci riuscirono a sconfiggere da soli 20000 persiani.

Dieci anni dopo la battaglia di Maratona, Serse, il figlio di Dario, decise di nuovo di attaccare la Grecia, a nord da terra e a sud da mare. Cosi nel 480 a.C. ebbe inizio la Seconda Guerra persiana.

L’esercito persiano trovò il primo sbarramento al passo delle Termopili , dove 300 soldati Spartani a costo della loro vita impedirono ai nemici, anche se solo per poco, di entrare in Grecia resistendo eroicamente per tre giorni. Ma, nonostante il valore e il coraggio di questi soldati, le forze persiane continuarono ad avanzare.

Dopo questa sconfitta la situazione di Atene era disperata. Con la città in fiamme, le donne e i bambini si rifugiarono sull’isola di Salamina e gli uomini corsero sulle navi. Avvenne cosi la Battaglia di Salamina in cui Temistocle, un valoroso generale Ateniese, escogitò un astuto stratagemma e con solo 200 navi riuscì ad affondarne ben 1200! Fece finta di darsela a gambe in modo da farsi inseguire dai nemici. I nemici li inseguirono ma Temistocle fece un gran dietro front e attaccò i Persiani che ora mai erano incastrati nello stretto. Le navi che tentavano di fuggire vennero distrutte.

Nel 479 a.C. gli Spartiati sconfissero una volta per tutte i Persiani nella Battaglia di Platea. A questo punto Serse non poté fare altro che tornare in Persia in fretta e furia, insieme a quello che era rimasto del suo esercito.

Fu cosi che finirono le guerre persiane. Le piccole polis greche, unite, avevano sconfitto un grande impero.

La guerra del Peloponneso

L’alleanza tra Sparta e Atene fu però un evento straordinario che si verificò solo in occasione dell’attacco persiano, le città della Grecia infatti erano spesso rivali tra loro.

Atene cercava di allargare la propria influenza alleandosi con oltre città greche e cosi Sparta nel 431 a.C. la attaccò dando inizio alla Guerra del Peloponneso.

Le polis combatterono a lungo ( quasi trenta anni ) senza vincitori né vinti, ma nel 415 a.C. gli Ateniesi tentarono di conquistare Siracusa, alleata di Sparta, subendo due anni dopo una pesante sconfitta. Atene fu costretta ad arrendersi nel 404 a.C.

La guerra del Peloponneso indebolì l’intera Grecia e ben presto se ne videro le conseguenze infatti nel 38 a.C. Filippo II, il re dell’Impero macedone invase il Peloponneso e mette fine all’indipendenza delle polis.

giovedì 26 novembre 2009

Le congiunzioni


La congiunzione è una parola che serve ad unire due parole tra di loro o due proposizioni tra di loro. La congiunzione non varia in base al genere e al numero, ma resta invariabile.

nome congiunzione nome verbo
Luigi e Antonio giocano.
Antonio e Lucia si divertono.

Vi sono diversi tipi di congiunzioni.

Congiunzioni semplici

Sono congiunzioni formate da una sola parola. Sono congiunzioni semplici:

e, ma, però, anche, se, come ecc.

nome congiunzione nome verbo
Luigi e Antonio giocano.
Antonio e Lucia si divertono.

Quando una congiunzione è formata da più parole messe insieme, come le seguenti congiunzioni:

per la qualcosa, di modo che, appena che, anche se, con tutto ciò, dal momento che, ecc.

la congiunzione si usa chiamare locuzione congiuntiva.

Congiunzioni coordinanti

La congiunzione si dice coordinante quando unisce due parole o due proposizioni che possono stare da sole tra di loro, in quanto nessuna delle due dipende dall'altra.

Sono congiunzioni coordinanti:

tipo funzione esempio
copulative:

e, ed, né, anche, pure, inoltre, perfino, neanche, nemmeno, neppure, ecc

uniscono due parole simili o due proposizioni simili Vogliamo giocare e guadagnare euro.

Non andrò da lei gli manderò un SMS.

alternative:

o, oppure, altrimenti, ovvero

uniscono due elementi uno dei quali esclude l'altro Antonio cammina o sta fermo.
avversative:

ma, però, eppure, tuttavia, al contrario, anzi, piuttosto, invece, mentre, eppure

uniscono due elementi di cui il secondo limita il significato del primo Lo invitai a cena, ma non venne.

Non mi sento bene, tuttavia vado a scuola ugualmente.

correlative:

sia ... sia

o ... o

e .... e

nè ... né

non solo ... ma anche

tanto ... quanto

così ... come

mettono in collegamento due elementi tra di loro O pago io o paghi tu.

Non venne lui sua moglie.

Congiunzioni subordinanti

La congiunzione si dice subordinante quando unisce due parole o due proposizioni che non possono stare da sole tra di loro, in quanto una delle due dipende dall'altra.

Sono congiunzioni subordinanti:

tipo funzione esempio
dichiarative:

che, come

uniscono una seconda proposizione che completa il significato della prima proposizione Penso che lei verrà.

Dico che lui sa tutto.

causali:

poiché, perché, siccome, dato che, giacché

uniscono una seconda proposizione che spiega la causa della prima proposizione Mi piace il bosco perché è pieno di querce.

Ti porto con la macchina siccome piove.

temporali:

quando, allorché, mentre, finché, appena che, dopo che

uniscono una seconda proposizione che indica il tempo della prima proposizione Lucia è arrivata mentre cenavo.

Non posso fare nulla quando ci sei tu.

venerdì 20 novembre 2009

Achille


Achille è un personaggio della mitologia greca e inoltre è uno dei principali eroi leggendari della guerra di Troia e il protagonista dell'Iliade.

La leggenda di Achille è una delle più ricche e antiche della mitologia greca.

Infatti oltre ad Omero, autore dell'Iliade, anche altri poeti narrarono di Achille, aggiungendo episodi inventati per completare il racconto della sua vita, laddove Omero aveva lasciato dei vuoti. Per questo si crearono leggende intorno ad Achille, spesso con storie discordanti tra loro, che ispirarono i poeti tragici e i poeti epici di tutta l'antichità, fino all'epoca romana.

Achille, considerato l'eroe per eccellenza, era figlio di Pelèo, re dei Mirmìdoni e della ninfa nereide Teti. Alla sua nascita, la madre che voleva renderlo immortale, lo immerse per tre volte nelle acque del fiume Stige tenendolo per un tallone, che però rimase l'unica parte vulnerabile del suo corpo perché non immersa. Per questo, quando ci riferiamo ad una parte debole fisicamente o psicologicamente, si definisce il "tallone di Achille".

Un giorno un oracolo profetizzò a Teti che Achille sarebbe rimasto ucciso durante una guerra, che si sarebbe combattuta contro la città di Troia; la madre allora fece rifugiare il figlio presso la corte di Licomede, re di Sciro. Ma quando i Greci si riunirono per andare in guerra contro Troia, l'indovino Calcante li indusse a cercare Achille, perché sosteneva che senza di lui Troia non sarebbe mai stata sconfitta, rivelando dove si era nascosto Achille.

Teti supplicò il Destino perché mutasse la tragica fine di Achille e le fu proposto di scegliere per suo figlio o una vita lunga e senza meriti oppure una morte gloriosa; fu Achille che scelse quest'ultima.

domenica 15 novembre 2009

Giovanni Pascoli


Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, da una famiglia della piccola borghesia rurale, di condizioni abbastanza agiate: il padre, Ruggiero, era fattore della tenuta La Torre, di proprietà dei principi Torlonia.
Giovanni era il quarto di ben dieci figli. La vita serena di questo nucleo famigliare venne però sconvolta da una tragedia, destinata a segnare profondamente l'esistenza del poeta: il 10 agosto 1867, mentre tornava a casa dal mercato di Cesena, Ruggiero Pascoli fu ucciso a fucilate, probabilmente da un rivale che aspirava a prendere il suo posto di amministratore. La morte del padre creò difficoltà economiche alla famiglia, che dovette lasciare la tenuta, trasferirsi a San Mauro e in seguito a Rimini, dove il figlio maggiore Giacomo aveva trovato lavoro. Al primo lutto in un breve giro di anni, ne seguirono altri, in una successione impressionante: nel 1868 morirono la madre e la sorella maggiore, nel 71 il fratello Luigi, nel 76 Giacomo.
Giovanni nel 1882 si laureò con una tesi sull' antico lirico greco Alceo ed iniziò subito dopo la carriera di insegnante liceale, prima a Matera, poi dal 1884 a Massa. Nel 1895, Pascoli aveva ottenuto la cattedra di grammatica greca e latino all'università di Bologna e in questa città subentrò al suo maestro Carducci nell' insegnamento di letteratura italiana. All'inizio degli anni Novanta aveva pubblicato una prima raccolta di liriche, Myricae cui ne seguirono altre negli anni seguenti. Il 6 aprile del 1912 si spense a Bologna a causa di un male incurabile.

Mare


M’affaccio alla finestra, e vedo il mare;
vanno le stelle, tremolano l’onde.
Vedo stelle passare, onde passare;
un guizzo chiama, alito risponde.

Ecco, sospira l’acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d’argento.

Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto, e dove meni?

Giovanni Pascoli

lunedì 9 novembre 2009

Polifemo il Ciclope - Mito greco

Nell'isola di Sicilia vivevano sette fratelli giganteschi e terribili. Il più mostruoso si chiamava Polifemo. Era figlio di Poseidone e apparteneva alla razza dei ciclopi, che avevano un unico grande occhio in mezzo alla fronte. Dopo che Odisseo e i suoi uomini ebbero lasciato l'isola dei Lotofagi, Zeus aveva scatenato un'altra violenta tempesta, e furono tanto sballottati da perdere la nozione del tempo e non sapersi più orientare. Così, quando videro profilarsi una grande isola verde tutta cosparsa di greggi ben pasciute, fecero salti di gioia. «Calate l'ancora!» gridò Odisseo. «Giù le scialuppe! Portiamoci qualche orcio del nostro vino migliore per barattarlo con qualcuna di quelle pecore, se troviamo il padrone. E poi ci faremo un banchetto.»
E mentre i marinai lanciavano urla di felicità, affamati come erano dopo tante peripezie, Odisseo e undici uomini calarono una barca e raggiunsero la riva. Si incamminarono lungo un ripido sentiero tra le rupi, reggendo con cura gli orci di vino per non versarne neanche una goccia, e dopo una lunga arrampicata raggiunsero una grande caverna. Sembrava vuota. «Prendete qualche pecora bella grassa, intanto che aspettiamo il pastore» ordinò Odisseo. «Non vorrei perdere troppo tempo.» Avevano appena radunato una decina di pecore, quando udirono dei ruggiti e un pesante calpestio che faceva tremare le rocce. Terrorizzati, si tuffarono in fondo alla caverna nascondendosi dietro un masso. Ed ecco entrare un gigante dall'aspetto spaventoso. Si accoccolò sulla soglia, gracchiando: «Venite qui, mie greggi. Venite da Polifemo per essere munte». Odisseo ebbe un sussulto. Aveva sentito parlare di Polifemo e sapeva che erano nei guai. Conclusa la mungitura, il Ciclope accese il fuoco e, solo quando le fiamme cominciarono a farsi alte e brillanti, notò i dodici uomini nascosti dietro la roccia. Emise un assordante ruggito di rabbia. «Stranieri!» ringhiò. «Ladri di pecore! Vi farò a pezzi e vi mangerò per cena!» Un attimo dopo afferrò due uomini e se li cacciò in bocca, stritolandoli trai denti aguzzi. Poi, dopo aver rotolato un grande macigno all'ingresso della caverna, si distese a dormire. Mentre il suo russare echeggiava tra le pareti, Odisseo tentò di escogitare un piano. Ma non gli venne in mente nulla. Così, la mattina dopo, il gigante prese altri due uomini e li divorò come aveva fatto con gli altri. Dopo di che uscì con le pecore, rotolandosi il macigno alle spalle. Erano in trappola! Mentre camminava avanti e indietro per la caverna, cercando di pensare, Odisseo notò un tronco buttato in terra. Gli diede un'idea. «Venite qua, ragazzi» disse. «Aiutatemi ad appuntirlo.» «A che serve? Tanto ci mangerà lo stesso!» gemevano gli uomini, disperati. Ma a forza di insulti e moine, Odisseo riuscì a convincerli e il tronco divenne una lunga pertica appuntita. Lo stavano nascondendo in un angolo quando Polifemo fu di ritorno. Come la sera prima, munse le pecore e sbranò altri due uomini. Poi fece un rutto poderoso e dopo aver rotolato il macigno all'imbocco si distese per terra. Ma questa volta non si addormentò subito e Odisseo saltò fuori a parlargli. «Forse gradiresti un po' di buon vino, dopo un simile pasto, grande Ciclope!» gli disse timidamente.
Ora il fuoco emanava un bel tepore. Polifemo vi si distese accanto e tese le sue enormi mani per scaldarle. « Ben fatto» disse. « Voi uomini sarete delle piccole, insignificanti creature, ma avete acceso un bel fuoco». Ulisse finse di essergli grato. « Vogliamo solo servirti, Polifemo» disse al Ciclope. « Lascia che ti portiamo del vino». Polifemo sorrise. "Buona idea" tuonò. « Visto che siete così piccoli, potete portarmelo con secchi...» disse indicando l'altro lato della caverna. Ulisse e i suoi compagni cominciarono a riempire i secchi nell'immenso orcio di vino.«Ce n'è abbastanza per riempire un lago!» sussurrò Ulisse. «Dobbiamo fare in modo che Polifemo lo beva tutto». Ci volle moltissimo per far ubriacare Polifemo, come desiderava Ulisse. I Greci fecero la spola a lungo, portando un secchio di vino dopo l'altro. Polifemo li bevve tutti. Quando il vino finì, il Ciclope sentì che aveva molto sonno, e finalmente chiuse il suo occhio e giacque russando sul pavimento. «Presto!» sussurrò Ulisse agli altri. «Prendiamo il suo bastone». Insieme, con tutte le loro forze, sollevarono da terra il palo. Lo trascinarono verso il fuoco e tennero l'estremità appuntita tra le fiamme finché non diventò rovente. « Bene!» disse Ulisse. « Ora solleviamolo... Forza. Più su! Più su!» Poi, quando il tronco fu abbastanza in alto, Ulisse disse ai compagni: « Piantateglielo nell'occhio! Pronti? Via!» Corsero in avanti tutti insieme e conficcarono l'estremità arroventata del palo nell'occhio chiuso di Polifemo. Si sentì un puzzo orrendo di bruciato, e il Ciclope cacciò uno spaventoso urlo di dolore. Si premette le mani sull'occhio, gridando e ruggendo, tanto che i Greci erano assordati dal rumore. « Perché è così buio?» muggì Polifemo. « Non vedo più niente!» Cominciò a tastare le pareti e il pavimento della caverna, cercando Ulisse e i suoi compagni. Le sue immense dita continuavano a percuotere iL terreno vicino a loro: erano abbastanza grosse per schiacciarli. Ulisse corse verso il mucchio di pelli di pecora. Velocemente ne lanciò una a ciascun compagno. « Copritevi con queste, e mettetevi a quattro zampe!» esclamò. « Poi raggiungete carponi l'ingresso della caverna». Svelti i Greci fecero quanto Ulisse aveva detto. Improvvisamente Ulisse sentì le dita del Ciclope tastare la pelle di pecora che gli copriva il dorso: avevano un peso colossale. Polifemo toccò ancora una pelle di pecora, poi un'altra e un'altra. Sotto ciascuna di esse c'era un Greco.
« Sono scappati» ruggì. « Quegli astuti furfanti! Mi hanno accecato e sono scappati. Sono rimaste solo le pecore nella caverna». Quanto più velocemente potevano, Ulisse e i suoi compagni uscirono carponi dalla grotta. Una volta fuori, si tolsero le pelli di pecora che avevano salvato loro la vita e corsero verso la spiaggia. « La nave è troppo danneggiata per salpare» disse in fretta Ulisse. « Ma le scialuppe sono a posto. Presto! Mettiamole in acqua e allontaniamoci dall'isola». I Greci spinsero rapidamente le barche lontano dalla riva. Quando cominciarono a galleggiare, si diedero a remare più in fretta che potevano. Molte altre avventure attendevano Ulisse e i suoi compagni, prima che potessero far ritorno in Grecia e a casa. Essi però ricordarono sempre la notte in cui sfuggirono al Ciclope come la più orribile e pericolosa di tutte.



La tela di Aracne - Mito greco


Aracne, figlia del tintore Idmone, era una fanciulla che viveva nella città di Ipepe, nella Lidia. Era molto conosciuta per la sua abilità di tessitrice perchè le sue creazioni erano di estrema bellezza e perchè aveva una grazia ed una delicatezza uniche nell'eseguire le sue tele.

Aracne era molto orgogliosa della sua bravura tanto che un giorno ebbe l'imprudenza di affermare che neanche l'abile Atena, anche lei famosa per la sua abilità di tessitrice, sarebbe stata in grado di competere con lei e, presa dalla superbia, ebbe l'audacia di sfidare la stessa dea in una pubblica gara.

Atena, non appena apprese la notizia, fu sopraffatta dall'ira e si presentò ad Aracne sotto le spoglie di una vecchia suggerendo alla stessa di ritirare la sfida e di accontentarsi di essere la migliore tessitrice tra i mortali. Per tutta risposta Aracne disse che se Atena non accettava la sfida era perchè non aveva il coraggio di competere con lei. A quel punto Atena si rivelò in tutta la sua grandezza e dichiarò aperta la sfida.

Una di fronte all'altra Atena ed Aracne iniziarono a tessere le loro tele e via via che le matasse di lana si dipanavano apparivano le scene che le stesse avevano deciso di rappresentare: nella tela di Atena erano rappresentate le grandi imprese compiute dalla dea ed i poteri divini che le erano propri; Aracne invece, raffigurava gli amori di alcuni dei, le loro colpe ed i loro inganni.

Quando il lavoro fu completato, la stessa Atena dovette ammettere che la tela di Aracne aveva una bellezza che mai si era vista: i personaggi sembrava balzassero fuori dalla tela per compiere le imprese rappresentate.

Atena, non tollerando l'evidente sconfitta con rabbia afferrò la tela della rivale e la stracciò in mille pezzi.

Aracne, sconvolta dalla reazione della dea, scappò via e tentò di suicidarsi cercando di impiccarsi ad un albero. Ma Atena, pensando che quello fosse un castigo troppo blando, decise di condannare Aracne a tessere per il resto dei suoi giorni e a dondolare dallo stesso albero dal quale voleva uccidersi ma non avrebbe più filato con le mani ma con la bocca perchè fu trasformata in un gigantesco ragno.

Ancor oggi, quando si vede un ragno tessere la sua tela laboriosamente, si ripensa alla sorte toccata alla tessitrice della Lidia condannata per il resto della sua vita perchè era stata più abile di una dea.

Enigma della Sfinge - Mito greco

In agguato su un' enorme roccia che dominava la strada di Tebe, viveva ai tempi dei tempi la Sfinge. Era un terribile mostro dalle ali di aquila, dal volto e il petto di donna e il corpo simile a quello di un feroce leone. Si appostava notte e giorno sul Citerone in attesa dei viandanti, e appena li avvistava, li fermava e proponeva loro un enigma. Quelli che non sapevano rispondere venivano immediatamente divorati dal mostro.
Innumerevoli erano le vittime della Sfinge, e la città di Tebe e i suoi dintorni erano desolati da tale sciagura, inflitta da Giunone ai Tebani per punirli di aver trascurato i sacrifici in suo onore. Purtroppo nessuno mai era riuscito a sciogliere gli enigmi proposti dal mostro alato e, passare sotto il Citerone, significava andare incontro a morte sicura.
Il re di Tebe Creonte, fratello di Giocasta, sperando di metter fine a questo tragico flagello aveva pubblicato un bando che diceva: "Il re concederà la mano di sua sorella Giocasta e offrirà la corona di Tebe a colui che libererà il paese dall'incubo della Sfinge". Proprio in quel tempo Edipo si trovava presso la città di Tebe e gli venne il desiderio leggendo il bando di tentare l'impresa. "Straniero ardimentoso!" disse con voce rauca il mostro. "Fermati! Devo proporti un enigma: Sai dirmi qual sia l'animale che il mattino cammina su quattro piedi, a mezzodì su due e la sera su tre?" Edipo stette un momento sopra pensiero, poi con un sorriso di trionfo rispose: "Quell'animale è l'uomo. egli infatti da bambino si trascina sulle mani e sui piedi, diventato grande, cammina sui due piedi, infine da vecchio si appoggia sul bastone."
Aveva proprio indovinato! La Sfinge, vedendo per la prima volta risolto il suo enigma, si precipitò rabbiosa dall'alto del roccioso Citerone e si uccise. E il popolo festante gridò per le vie di Tebe: "Uno straniero ci ha liberati dal terribile flagello! Gloria a lui. A lui il trono e la mano della regina Giocasta!" Ed Edipo entrò nella città dalle sette porte come trionfatore, e come il destino volle sposò la propria madre.



La mitologia greca


La mitologia greca è la raccolta di tutti i miti e le leggende appartenenti alla cultura degli antichi greci ed elleni che riguardano i loro dei ed eroi, la loro concezione del mondo, i loro culti e le pratiche religiose.

La mitologia greca si compone di una vasta raccolta di racconti che spiegano l’origine del mondo ed espongono dettagliatamente la vita e le avventure di un gran numero di dei e dee, eroi e mostri e altre creature mitologiche.

Questi racconti inizialmente furono composti e diffusi in una forma poetica e composizione orale , mentre sono invece giunti fino a noi principalmente attraverso i testi scritti della tradizione letteraria greca. Le più antiche fonti letterarie conosciute, i due poemi Iliade e Odissea, concentrano la loro attenzione sugli eventi che ruotano attorno alla vicenda della guerra di Troia. Altri due poemi quasi contemporanei alle opere omeriche, la Teogonia scritta da Esiodo, contengono invece racconti che riguardano la genesi del mondo, la cronologia dei sovrani celesti, il succedersi delle età dell'uomo, l’inizio delle sofferenze umane e l’origine delle pratiche sacrificali. Diverse leggende sono contenute anche negli Inni omerici.

sabato 7 novembre 2009

Differenza tra popolazione attiva e non
















La popolazione attiva è la parte di popolazione di uno stato che è in grado, salvo impedimenti temporanei, di svolgere legalmente attività lavorativa.

La popolazione viene classificata in due grandi categorie:

  • Popolazione attiva
  • Popolazione non attiva

A questa distinzione si perviene considerando due variabili: l'età e la situazione occupazionale.

Popolazione attiva

Per popolazione attiva si intende l'insieme delle persone di età non inferiore ai 15 anni che, alla data del censimento, risultano:

  1. occupate, esercitando in proprio o alle dipendenze altrui una professione, arte o mestiere;
  2. disoccupate, ovvero hanno perduto il precedente lavoro e sono alla ricerca di una occupazione;
  3. momentaneamente impedite a svolgere la propria attività lavorativa in quanto inquadrabili come: militari di leva (o in servizio civile), volontari, richiamati; ricoverati da meno di due anni in luoghi di cura e assistenza; detenuti in attesa di giudizio o condannati a pene inferiori a 5 anni;
  4. alla ricerca di prima occupazione, non avendone mai svolta alcuna in precedenza.


Popolazione non attiva

La popolazione non attiva è composta da:

  1. ragazzi con età inferiore ai 15 anni;
  2. persone che hanno almeno 15 anni e che alla data del censimento non svolgevano un lavoro e non erano alla ricerca di occupazione. A quest'ultima categoria appartengono:
    • i benestanti e i proprietari;
    • gli studenti;
    • le casalinghe che svolgono lavori domestici presso le proprie famiglie;
    • i pensionati;
    • gli infermi e i ricoverati a tempo indeterminato in luoghi di cura e assistenza;
    • gli inabili permanenti al lavoro;
    • i condannati a pene di almeno 5 anni;
    • i mendicanti e coloro che vivono di pubblica beneficenza.

I tre settori dell'economia


Gli ecomisti per aiutarci a comprendere meglio il mondo del lavoro lo hanno suddiviso in tre settori:

  1. Il settore primario comprende tutte le attività legate all'utilizzo diretto delle risorse naturali: agricoltura, allevamento, pesca, sfruttamento dei boschi, estrazione dei minerali.
  2. Il settore secondario include tutte le attività di trasformazione di una materia prima in un prodotto finito: l'artigianato e l'industria.
  3. Il settore terziario è costituito da tutte quelle attività che non producono merci, ma servizi utili alle persone, come sanità, istruzione, turismo, trasporti...
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In ambito geografico, storico e economico il lavoro è l'occupazione che viene retribuita.

Giosuè Carducci

Carducci nacque a Valdicastello, in provincia di Lucca, nel 1835 e morì a Bologna nel 1907.
Trascorse la sua fanciullezza in Maremma tra Bolgheri e Castagneto, dove il padre era medico.
Questi luoghi rimasero impressi nel cuore del poeta che li canterà nelle sue poesie.
Fu professore di letteratura italiana all'Università di Bologna, senatore del Regno e nel 1906 ottenne il premio Nobel per la letteratura.